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Le tasse sulle attività commerciali

24 Aprile 2023 | Autore:
Le tasse sulle attività commerciali

Quali imposte deve pagare un esercente munito di partita Iva; quanto conta la forma sociale (ditta individuale, società di persone o società di capitali); quando conviene il regime forfettario.

In Italia si pensa che le partite Iva siano tartassate, e in effetti chiunque è un esercente, o semplicemente conosce un negoziante, sa bene i problemi quotidiani che deve affrontare per tenere aperta l’attività e far quadrare i conti.

In effetti l’imposizione fiscale è pesante e costituisce una delle principali voci di costo, insieme all’affitto dei locali e alle spese per il personale e per l’acquisto dei prodotti da rivendere. Ma precisamente quali e quante sono le tasse sulle attività commerciali? Facciamo il punto della situazione: scoprirai cose interessanti sulla convenienza dei vari regimi.

In realtà – e fermo restando che per tutte le attività commerciali esercitate in forma abituale e organizzata c’è l’obbligo generalizzato e ineludibile di apertura della partita Iva – la tassazione delle attività commerciali può essere molto diversa: tutto dipende dalla forma giuridica e dal regime fiscale scelto per esercitare l’attività.

Forma giuridica e regime fiscale delle attività commerciali

Quanto alla forma giuridica, si può avere una ditta individuale, una società di persone – come la Snc, società in nome collettivo, o la Sas, società in accomandita semplice – o una società di capitali, come la Srl – società a responsabilità limitata, che è la più diffusa – o Spa (società per azioni). E da ciò dipende il tipo di tassazione applicabile, come vedremo meglio fra poco.

Anche il regime fiscale conta parecchio, sia ai fini delle imposte sui redditi sia riguardo all’Iva ed alle imposte minori, perché oltre a quello ordinario esiste anche quello semplificato e, soprattutto, il forfettario, che presenta numerosi vantaggi per l’aliquota d’imposta agevolata, pari al 15% in luogo delle ordinarie aliquote Irpef, che oltretutto viene ridotta ad appena il 5% nei primi 5 anni di attività.

Nel prosieguo ti illustreremo i requisiti necessari per accedere a questo regime di vantaggio, primo fra tutti il volume d’affari, che non deve superare gli 85mila euro annui di ricavi e compensi.

Attività commerciale esercitata come ditta individuale

La ditta individuale è la forma più semplice e meno costosa per avviare un’attività commerciale, tant’è che, stando alle statistiche delle Camere di Commercio, in Italia quasi i due terzi delle attività vengono esercitate in questa maniera.

Il titolare della ditta individuale è l’unico responsabile dell’impresa e risponde personalmente e direttamente, con tutto il suo patrimonio, delle obbligazioni assunte verso i creditori ed anche nei confronti del Fisco per quanto attiene il versamento delle imposte dovute sui ricavi e redditi prodotti.

Precisamente, le due principali imposte da pagare da una ditta individuale che svolge attività commerciale sono:

  • l’Irpef, che viene calcolata sul reddito dell’attività al netto dei costi e delle eventuali perdite, e viene imputata al titolare, che dovrà indicare l’importo nella dichiarazione annuale dei redditi; le aliquote Irpef sono quelle ordinarie, che, in base agli scaglioni di reddito complessivo del contribuente (in cui confluiscono anche le eventuali altre fonti: ad esempio, i redditi fondiari o di capitale) è progressiva, e parte dal 23% per i redditi fino a 15mila euro annui ed arriva al 43% per la parte eccedente i 50mila euro;
  • l’Iva, che è del 22% sul valore aggiunto generato dall’attività (ma potrebbero applicarsi le aliquote agevolate, ed inferiori, per determinati beni di necessità o di largo consumo, come i prodotti alimentari). L’Iva si divide in Iva a credito e Iva a debito: la prima è quella pagata dal titolare della ditta individuale per acquistare i vari beni e servizi necessari all’attività, la seconda è quella incassata dalla vendita dei beni e servizi, ed è incorporata nel prezzo finale praticato agli acquirenti. La differenza tra Iva a credito e Iva a debito va versata all’Erario.

Società di persone per l’esercizio di attività commerciali

Le società di persone sono quelle costituite da due o più persone che mettono in comune beni o servizi per svolgere un’attività commerciale. Ne esistono tre tipi:

  • Società semplice (Ss);
  • Società in nome collettivo (Snc), che è la più diffusa;
  • Società in accomandita semplice (Sas), in cui esistono due categorie di soci: gli accomandanti e gli accomandatari.

In queste società i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali con il loro patrimonio personale, con l’unica peculiarità che per le Snc e le Sas esiste il «beneficio di escussione»: i creditore della società non possono rivolgersi ai soci se prima non hanno tentato di soddisfarsi sul patrimonio sociale, ed esso è risultato incapiente.

Nelle attività commerciali esercitate da società di persone le tasse da pagare sono sempre:

  • l’Irpef, che viene calcolata sul reddito netto della società attribuito ai singoli soci in base alla loro quota di partecipazione; in base al principio di trasparenza, il reddito viene imputato ai soci anche se la società non lo ha distribuito [1];
  • l’Iva, che segue le stesse regole di fatturazione, liquidazione e versamento previste per la ditta individuale .

Società di capitali che svolgono attività commerciale

Le società di capitali sono quelle costituite da persone che conferiscono un apporto economico – chiamato capitale sociale – diviso in quote nelle Srl, o in azioni nelle Spa, per svolgere un’attività commerciale.

Le società di capitali più diffuse in Italia sono:

  • le società a responsabilità limitata (Srl), particolarmente adatta per le piccole attività economiche, in quanto richiedono un capitale ridotto (il minimo è di 10mila euro e nelle Srls, società a responsabilità limitata semplificata, si può partire con 1 euro e poi integrare la soglia minima imputando gli utili a riserva);
  • le società per azioni (Spa), in cui si parte da un capitale 50mila euro; è questa la forma più adatta per le attività imprenditoriali e commerciali di maggiori dimensioni, in cui si realizza un’azionariato diffuso, con larga partecipazione, fino alla quotazione dei titoli in Borsa.

Nelle società di capitali i soci rispondono delle obbligazioni sociali solo fino alla concorrenza del capitale conferito, e non oltre: c’è quindi una evidente limitazione della responsabilità per i debiti.

Le società di capitali pagano le seguenti imposte:

  • l’Ires, Imposta sul Reddito delle Società, che viene calcolata sul reddito netto, in base al risultato del conto economico, con un’aliquota fissa, attualmente pari al 24%; le start-up innovative godono di un regime Ires agevolato;
  • l’Irap, Imposta Regionale sulle attività produttive, con l’aliquota stabilita dalla Regione in cui è ubicata la sede o l’insediamento produttivo, mediamente l’aliquota nazionale è del 3,9%, ma ogni Regione ha facoltà di aumentarla fino allo 0,92%;
  • l’Iva, con lo stesso regime previsto per le ditte individuali e le società di persone; in relazione al volume d’affari, le società possono optare per la liquidazione mensile, oppure trimestrale.

Regime forfettario: requisiti e vantaggi

Il regime forfettario è una forma agevolata di tassazione per le partite Iva che hanno determinati requisiti, primo fra tutti un volume di ricavi annuo inferiore a 85.000 euro; inoltre, occorre:

  • essere residenti in Italia;
  • non avere partecipazioni in società di persone (società semplici, società in nome collettivo e società in accomandita semplice), o partecipazioni di controllo in società di capitali (Spa, Srl o società in accomandita per azioni) che operano nello stesso settore di attività;
  • avere un reddito da lavoro dipendente o da attività assimilate non superiore a 30.000 euro annui lordi (a meno che il rapporto di lavoro non sia definitivamente cessato, per dimissioni o licenziamento);
  • sostenere spese per il personale dipendente, o per lavoro accessorio, non superiori a 20.000 euro lordi annui.

Il vantaggio principale del regime forfettario è che si paga una sola imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires e dell’Irap all’aliquota fissa del 15% (o al 5% per i primi cinque anni di attività), quindi molto meno rispetto all’Irpef, che parte dal 23% ed arriva al 43%. Inoltre, chi aderisce al regime forfettario non deve versare l’Iva né emettere fatture con l’indicazione dell’Iva.

Attività economica in regime forfettario: tassazione

Nel regime forfettario la tassazione avviene sul reddito imponibile determinato applicando una percentuale di redditività al fatturato, e ciò consente di dedurre i costi: non quelli effettivi, ma quelli, appunto, forfettari, in quanto predeterminati a priori dalla legge, nel modo che adesso ti spieghiamo.

I coefficienti di redditività servono a sottrarre dal reddito imponibile una percentuale forfettaria dei costi sostenuti: ciò significa, ad esempio, che un commerciante con incassi annui pari a 10mila euro dovrà pagare l’Irpef solo su un imponibile di 4mila euro, in quanto la percentuale di abbattimento è pari al 40%. Quindi il restante 60% viene considerato, in via forfettaria, come l’ammontare delle spese sostenute per produrre i ricavi, e pertanto non è soggetto a imposte.

Il rovescio della medaglia sta nel fatto che i costi realmente sostenuti potrebbero essere superiori a tale percentuale, ma nel forfettario non vengono riconosciuti: per avere questo risultato bisogna optare per il regime ordinario, o per quello semplificato, che consentono la deduzione analitica.

Nel dettaglio, il coefficiente di redditività del regime forfettario dipende dal tipo di attività economica esercitata, che viene stabilito in base al codice Ateco di classificazione, comunicato all’Agenzia delle Entrate in fase di apertura della partita Iva ed al Registro delle imprese con l’iscrizione alla Camera di Commercio. Per le attività commerciali, i coefficienti vigenti sono i seguenti:

  • attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio: 40%;
  • commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande: 40%;
  • Commercio ambulante di altri prodotti: 54%;
  • attività dei servizi di alloggio e di ristorazione: 40%;
  • intermediari del commercio: 62%;
  • altre attività economiche: 67%.

note

[1] Art. 5 D.P.R. n. 917/1986 (Testo Unico Imposte sui Redditi).

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